Spatriati, la recensione di Maila Cavaliere del nuovo romanzo di Mario Desiati pubblicato da Einaudi editore.
Di Maila Cavaliere
Torna in libreria per Einaudi Mario Desiati con il nuovo romanzo Spatriati. Un libro vero, “intimo e disperato”. Desiati ama le partenze, gli esili volontari, così come ama i ritorni e li declina anche attraverso i nomi dei protagonisti. Come era accaduto per Martin(o) Bux, in Spatriati il lettore ritrova Veleno, già presente in un precedente romanzo dell’autore, Il libro dell’amore proibito.
La storia di Claudia e Francesco, così diversi tra loro ma anche così differenti dall’immagine a cui devono convenzionalmente assomigliare, racconta di ombre che si accorciano e si allungano a seconda della luce con cui ci facciamo guardare dagli altri.
Racconta delle proiezioni di noi che mandiamo in giro e a cui talvolta ci affezioniamo. Racconta di ologrammi di felicità in una giovinezza dilatata ad libitum e scossa da un desiderio fluido dell’altro.
Desiati riesce a costruire un romanzo tradizionale in cui, tuttavia, destruttura lo stigma del maschile e del femminile, ricompone in un métissage le categorie letterarie e i registri linguistici, riconsidera le misure dei confini e l’altezza delle soglie da varcare e conclude che, al di là dei motivi delle partenze, e al di là degli approdi di ciascuno, la sua generazione rimane, per scelta o per necessità, “spatriata”.
Tra chi resta con disorientata perseveranza e chi sceglie di andare via con raminga nostalgia, Mario Desiati delinea i tratti di chi ha fatto tesoro, pur negli approdi incerti del futuro, del pensiero meridiano affrancato dai luoghi comuni sull’emigrazione e dai patriarcali riferimenti.
La sua scrittura emoziona tra una prosa poetica e una spudorata spontaneità che fanno dell’altrove, parafrasando Anna Maria Ortese, l’unica possibilità che abbiamo di abitare le nostre stanze.