Di Vincenzo Legrottaglie
Nel 2023 è stato ricordato l’ottantesimo anniversario della Resistenza e della Guerra di Liberazione che portò l’Italia a disfarsi dell’occupazione nazi-fascista. Molte sono state le iniziative organizzate come cerimonie, convegni, giornate di studio; tante le pubblicazioni realizzate da parte di singoli studiosi, associazioni e università, in tutto il territorio nazionale, utili a ricordare uno dei periodi storici più drammatici per il nostro Paese.
Alcuni progetti risultano originali: è il caso del calendario dell’Esercito Italiano, edizione 2024 (Giunti editore), intitolato “Per l’Italia sempre, prima e dopo l’8 settembre”. L’almanacco propone le storie di alcuni ufficiali, sottufficiali e soldati che, dopo tre anni di guerra a fianco delle potenze dell’Asse, al momento dell’Armistizio di Cassibile, non ebbero dubbi su quale fosse il loro dovere e da quale parte schierarsi. Il prodotto editoriale è rivolto a tutti e, ad ogni edizione, richiama la curiosità di una schiera di collezionisti.
In linea su questo argomento è stata pubblicata, a firma del generale di brigata Filippo Cappellano, insigne storico militare, la collana “A testa alta”, composta da tre volumi. La trilogia parte dall’Armistizio e racconta il coraggio dei soldati del Regio Esercito contro il nazi-fascismo. Tra gli aspetti trattati: la costituzione, a Brindisi, del I Raggruppamento Motorizzato, che nel dicembre del 1943 si distinse nella battaglia di Monte Lungo contro i tedeschi e la resistenza dei militari italiani contro gli ex alleati teutonici a Roma, in Corsica, nel Dodecaneso, in Dalmazia, a Cefalonia e a Corfù.
Altro filone è dedicato ai militari schierati sull’Appennino e sulle Alpi, che alimentarono la lotta partigiana, per concludere con gli Internati Militari Italiani (I.M.I.), in Germania, perché si rifiutarono di collaborare con i tedeschi. I tre volumi, in formato tascabile e con 119 foto, sono stati redatti grazie alle fonti dell’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito. La trilogia approfondisce le diverse tematiche della Guerra di Liberazione e si rivolge a un pubblico eterogeneo.
Anche in ambito locale sono state sviluppate delle idee editoriali meritevoli di attenzione, come quella di Nuccio Carriero che ha redatto un volume su i “Combattenti per la libertà. Partigiani sanvitesi nella lotta per la Liberazione” (Arcobaleno, 2024), dedicato a tutti i partigiani di San Vito dei Normanni, in provincia di Brindisi. “L’opera, a distanza di molti anni, vuole essere un piccolo segno di gratitudine per tutto ciò che questi hanno fatto e, con un pensiero ancora più riconoscente, verso chi ha sacrificato la propria vita nelle lotte clandestine per la liberazione d’Italia” – scrive l’autore.
Carriero è un “incursore” della storia, per aver redatto molte opere o partecipato con saggi a collettanee e pubblicato articoli su argomenti inerenti la Città dell’Alto Salento. Curioso, appassionato e attivo nello scavo d’archivio, Nuccio si pone come un faro nella storiografia locale. In particolare, egli si dedica alle vicende militari con una particolare dedizione, per essere stato un sottufficiale dell’Aeronautica Militare.
Nulla gli sfugge e con la stesura di quest’opera ha voluto evidenziare un aspetto di quella che fu la lotta per la Liberazione dell’Italia, durante la Seconda Guerra Mondiale e far conoscere ai più il coinvolgimento di molti cittadini sanvitesi che vi hanno preso parte, nei modi e luoghi più diversi. Tante le storie, tutte importanti, alcune fortunate, altre tragiche. Contadini, artigiani, studenti fino a un esponente della casata dei principi Dentice di Frasso, già feudatari del paese, tutti accomunati dalla medesima volontà: risollevare l’onore dell’Italia.
Fra le tante storie narrate c’è quella di Rocco Arpino. Essa ha dell’incredibile e denota come la durezza della guerra non preclude il rispetto dei valori umani, anche verso il nemico. La sua vicenda potrebbe essere la trama di un film o di un romanzo storico. Arpino, giovane muratore, classe 1923, viene chiamato alle armi nel 1940 e inviato presso il 38° reggimento fanteria a Tortona, in provincia di Alessandria. Dopo un periodo sul fronte greco-albanese, rientra in Italia e, al momento dell’Armistizio, si trova aggregato al distaccamento quadrupedi di un reparto alpino, in Piemonte. Non aderendo alla Repubblica Sociale Italiana, il sanvitese si dà alla macchia, non prima, però, di aver liberato i due cavalli e il mulo che aveva in consegna.
Il prosieguo dell’accaduto, per gentile concessione, la facciamo raccontare direttamente all’autore, Nuccio Carriero: “Dopo circa tre mesi, trascorsi in una cascina nella quale aiutava il proprietario nei lavori dei campi, ricevendone in cambio protezione, cibo ed assistenza, nel mese di luglio 1944, Arpino si unisce ad un gruppo di partigiani che transitavano nei pressi della fattoria. Spera così di sottrarsi ai rastrellamenti messi in atto dalle SS e dai repubblichini ed evitare al suo benefattore di incorrere nei gravi rischi di rappresaglie alle quali erano soggetti tutti coloro che proteggevano i disertori.
Decise quindi di arruolarsi nei partigiani del C.V.L. (Corpo Volontari per la Libertà) nella Brigata “Matteotti”, assumendo il nome di battaglia “Cicconi”. Il giovane Arpino si mette subito in mostra per il coraggio e fino alla fine del conflitto prende parte a numerosi scontri con i nazi-fascisti, a diverse battaglie combattute sulle montagne dell’Alessandrino e alla liberazione di Torino.
Un altro compito affidatogli, di carattere logistico, era quello di provvedere all’approvvigionamento dei viveri occorrenti alla sua formazione. Durante una di queste missioni è scoperto da un drappello di nazi-fascisti con un sacco colmo di pane prelevato da un forno nella borgata di Pralormo – frazione di Moncalieri.
È fatto prigioniero e sottoposto ad interrogatorio, allo scopo di carpirgli informazioni, quindi viene portato a Tortona, dove, legato ad una cancellata di una chiesa, è torturato e seviziato, arrivando persino a strappargli tutti i denti con una tenaglia nella speranza di carpirgli i nomi dei compagni partigiani ed il luogo dove questi fossero nascosti.
Rocco cerca di convincere (invano) della sua buona fede i tedeschi affermando che il pane acquistato doveva essere distribuito tra i contadini nelle campagne. Le giustificazioni fornite da Arpino non furono credute veritiere. Dopo essere riuscito a tener testa, per lungo tempo, agli aguzzini e resistere alle torture senza tradire i compagni, decide di fornire false indicazioni, tentativo molto rischioso per la sua vita.
Indica ai tedeschi il luogo dove erano accampate le formazioni partigiane, rivelando, però, non la vera località bensì un’altra situata molto più lontano, ad oltre quaranta chilometri di distanza. Il tentativo riesce, i tedeschi parvero crederci e smisero di torturarlo. Ormai sfinito e sanguinante, Arpino è lasciato legato alla cancellata e con un tedesco di guardia. Liberato con l’aiuto di una di una donna del posto e del parroco di una chiesetta locale, che avevano osservato tutto, decidono di prestargli un minimo di aiuto e dargli la possibilità di fuggire.
Arpino, nonostante fosse ferito, sanguinante e spossato dai maltrattamenti subiti, riesce, impossessatosi del fucile, a sopraffare il tedesco addetto alla sua guardia. Dopo aver ricevuto alcune cure si dirige verso Pinerolo sede del Comando della sua formazione. Deve informare dell’accaduto i superiori per dar modo di far preparare i partigiani a tendere un’imboscata al reparto nazi-fascista.
I nazisti, resisi conto della beffa, fanno ritorno verso Tortona e per ritorsione mettono a soqquadro l’intero paese, uccidendo numerosi civili indifesi. L’imboscata, organizzata dal Comando del Corpo Volontari della Libertà, avvenne regolarmente quando i tedeschi ed i fascisti abbandonano Tortona dopo la rappresaglia: durante la sanguinosa battaglia che ne scaturisce cadono numerosi soldati, anche tra le fila dei partigiani. Al termine dello scontro armato, Arpino ha modo di distinguersi ulteriormente per aver protetto ed aiutato un altro giovane combattente. Tra i numerosi feriti ancora sul campo, infatti, egli riconosce immediatamente un viso conosciuto: era un altro sanvitese, ferito da schegge al volto.
Consapevole delle tremende conseguenze a cui il concittadino ferito, appartenente al reparto nazi-fascista, sarebbe andato incontro (fucilazione, proprio perché schierato con i repubblichini), Rocco non esita a nasconderlo alla vista degli altri partigiani ed a prestargli le prime cure. Non ancora soddisfatto, Arpino conduce il ferito nell’abitazione della sua fidanzata a Tortona, presso la quale rimane nascosto per diciotto mesi. A guerra finita, Rocco incontra ancora il nemico di un tempo, il quale non manca, ogni volta che si vedono a San Vito dei Normanni, di dimostrargli, tra le lacrime, la sua immensa gratitudine.
Un’altra grossa operazione partigiana alla quale Arpino prende parte successivamente è la liberazione della città di Torino avvenuta nel luglio 1944. La Commissione Regionale piemontese gli ha attribuito la qualifica gerarchica di Partigiano Combattente”. Continua (…)
Questa è una delle tante storie raccolte da Nuccio Carriero; le sue narrazioni pur partendo dall’ambito locale, travalicano i confini regionali e nazionali. Per questo l’autore rimane a disposizione dei lettori al seguente indirizzo: carriero.antonio@libero.it
In conclusione, il volume può essere letto da tutti, specie nell’approssimarsi del 25 Aprile, anniversario della Liberazione d’Italia.
Bibliografia
“CalendEsercito 2024. Per l’Italia sempre, prima e dopo l’8 settembre”, a cura di SME, Giunti Editore, Roma, 2023;
Filippo Cappellano, “A testa alta … da Porta San Paolo a Mignano Monte Lungo, i 98 giorni che portarono alla riscossa”, SME Ufficio Storico, Roma, 2023;
Nuccio Carriero, “Combattenti per la libertà. Partigiani sanvitesi nella lotta per la Liberazione” Edizioni Arcobaleno, San Vito dei Normanni, 2024.
Iconografia
L’immagine della copertina, libera rappresentazione dell’atto eroico compiuto dal carabiniere Raffaele Sardelli (a pagina 71, del libro di Nuccio Carriero), è stata realizzata dalla pittrice Franca Gallone.